Dall’inferno e ritorno
Non so dire quando tutto è cominciato e il momento esatto in cui il mondo ci è caduto rovinosamente
addosso.
Siamo una famiglia tranquilla, serena ed apparentemente invincibile nella propria staticità, eppure eravamo
già lì, inermi naviganti in attesa di naufragare nell’oblio del disturbo alimentare, in un oceano di giudizi, di
consigli non richiesti e di sguardi compassionevoli che fanno più male dei coltelli.
Da quel momento abbiamo imparato tante cose, dal termine “disfunzionale” che riecheggia potentemente
nelle nostre teste, dal considerare il disturbo alimentare come un pauroso calderone dove nel suo ribollire,
fuoriescono l’anoressia, la bulimia, il binge eating… e tutto questo sobbollire porta inevitabilmente alla
malattia mentale, al pregiudizio ed alla paura di giocare una partita in cui le possibilità di vittoria ti
sembrano lontane e fuori portata.
Ricordo un viaggio in macchina verso il lavoro,in cui io e mio marito stavamo parlando liberamente… erano
gli unici momenti in cui potevamo farlo… senza paura di dire parole in più o ancora di essere male
interpretati… in cui trovavamo il coraggio di ammettere le nostre fragilità ed i nostri dubbi riguardo al
futuro.. in questi momenti pensavamo che il peggio dovesse ancora venire… era stata profetica quella
sensazione.
Quanto era difficile guardare nostra figlia nei suoi occhi bui e tristi, quanto era difficile vedere che quel
poco cibo che mangiava era come se dovesse esso stesso mangiare lei. È stato tutto un vortice in crescendo
di paura, inadeguatezza, timore del giudizio e forse anche vergogna. Tra noi e nostra figlia si era interposto
un nemico oscuro, cattivo ed insidioso che voleva portarcela via, disarmandola di tutta la sua bellezza.
Le aveva tolto tutto, il sorriso, la gioia facendo rimanere di lei solo una piccola candela consumata con uno
sguardo sperduto che la diceva lunga su quanto stava soffrendo e su quanto il mostro voleva portarla tra le
sue spire.
Notti insonni e giorni passati a vegliare, cercando di capire ed interpretare qualsiasi segnale.. l’impossibilità
di lasciarla sola per paura che succedesse qualcosa, evitabile od inevitabile e chissà che altro… I giorni
passavano lenti , immersi tra casa e lavoro, in maniera ossessiva, quasi a voler anestetizzare il dolore e la
paura di dover affrontare una prova così grande, una battaglia che credevamo di non riuscire a combattere.
Poca cosa erano i gruppi familiari a cui partecipavamo..ognuno aveva il suo fardello, ognuno portava il suo
dolore e preoccupazione.. ogni cosa ci sembrava “più facile “ per gli altri.. che il nostro pro0blema sempre
più grande e non compreso.
Abbiamo sentito più volte parlare di “fare rete”,di unificare e far interagire gli specialisti che la avevano in
cura. Solo muri ed un fastidiosissimo passarsi la palla da uno all’altro. Come se ogni attore dovesse curarsi
del proprio orticello e in un tempo e in un luogo indefinito tutto poi come per magia dovesse trovare la sua
strada.
Magari è anche stato così..ma passarci dentro è stata dura. Ma non deve essere questa la sensazione che
dovevo provare… di esserci riuscita per un fortuito insieme di cose.. perché mia figlia si è comunque
riscoperta nella sua unicità e ha voluto tirarsene fuori,anche se consapevolmente il nemico è sempre in
agguato…. Abbiamo avuto la fortuna di trovare la strada giusta del ricovero,della diagnosi e di una forza che
non credevamo di avere. Abbiamo passato nove mesi tra un ricovero e l’ altro in cui è stato difficile anche
respirare a fondo, per timore di non assaporare più la vita e venire annientati dalla malattia.
Ho persino pensato che una qualsiasi altra malattia “curabile” sarebbe stata meglio…che almeno ci sarebbe
stato possibilità di vincerla. Questa no. Aveva distrutto la mia bambina. Aveva distrutto la donna che voleva
diventare. Elisabetta T.
